Africa Bambini in vacanza nei campi militari, guerra ai jihadisti su base etnica, repressione e disuguaglianze. Il pensiero di Thomas Sankara non abita più in Burkina Faso
di Michele Bollino
Schierati in fila, petto in fuori e testa alta. Indossano uniformi militari e, a vederli tutti insieme, sembrano un battaglione di fanteria pronto per la guerra. Ma i loro volti sono quelli di bambini. Hanno tra gli 8 e i 15 anni e sono i partecipanti del “Camp Vacances Faso Mebo”, il “campo estivo” organizzato dalla giunta militare del capitano Ibrahim Traoré, al governo del Burkina Faso dal golpe del settembre 2022, per «insegnare il patriottismo ai burkinabé del futuro».
Ma il passato incombe, con l’eredità di Thomas Sankara continuamente riscritta per sostenere la propaganda del regime.
IL “CAMP VACANCES Faso Mebo”, traducibile come “campo vacanze per la difesa della patria”, si è svolto in un luogo fortemente simbolico nella capitale Ouagadougou. Il liceo che lo ospita è il Marien N’Gouabi, intitolato al militare congolese e rivoluzionario marxista e panafricanista morto nel 1977, dove per un periodo studiò lo stesso Sankara. E fu proprio il padre del Burkina Faso moderno a voler trasformare quel liceo da «simbolo della borghesia colonialista» a «modello di educazione rivoluzionaria», con l’organizzazione di dibattiti settimanali su temi come l’imperialismo e la decolonizzazione, l’emancipazione femminile e l’ecologismo.
Di tutto questo, però, oggi non rimane quasi nulla. Sulle lavagne che hanno accolto gli oltre mille bambini partecipanti alle due edizioni del campo, infatti, trovano spazio parole diverse. Parole come «patria» e «patriottismo», ma anche «ordine», «disciplina», «sovranità» e «rispetto». Concetti che ben si abbinano con l’abbigliamento dei giovani partecipanti, tutti rigorosamente in tuta mimetica, ma sono lontani dalle campagne di «decolonizzazione delle menti» lanciate da Sankara per fare in modo che i cittadini «comprendano e non obbediscano».
Anche le attività pratiche proposte dal “Faso Mebo” sembrano lontane dalle prassi sankariste. «Abbiamo imparato a posare i mattoni e a fare i mattoni», dice un bambino ai microfoni di Rtb, la tv di stato burkinabé. E se il lavoro gratuito per opere di pubblica utilità era la spina dorsale dei programmi infrastrutturali lanciati da Sankara, nella sua visione questo non poteva essere separato dall’educazione ecologica. Ma le idee della «lotta alla desertificazione come lotta all’imperialismo» e del «piantare un albero come gesto rivoluzionario» sono scomparse. Al loro posto, cinque sacchi di cemento donati dalle famiglie di ogni partecipante al campo.
OGGI IL CEMENTO rappresenta anche qualcos’altro. È il segno della crescita economica del paese e il collante che tiene unito il blocco sociale che sostiene il regime di Traoré. Il boom edilizio della capitale Ouagadougou vale oggi il 10% di un Pil nazionale che cresce quasi del 5% annuo. Ma all’aumentare della ricchezza non corrisponde una diminuzione della povertà che, secondo la Banca Mondiale, è salita dal 40 al 43% negli ultimi cinque anni. Un segno chiaro di come della ricchezza che aumenta siano in pochi a beneficiarne.
Mentre il paese brucia per la guerra contro le sigle jihadiste, i guadagni si concentrano nella capitale. Nuovi palazzi crescono senza sosta nel quartiere direzionale di Ouaga2000 dove, circondati da boutique di lusso e concessionarie di auto elettriche cinesi, ogni mattina migliaia di profughi interni fanno la fila per le razioni di cibo davanti alle sedi delle organizzazioni internazionali. In città i servizi pubblici sono pressoché inesistenti, ma i giovani figli di una borghesia cittadina sempre più ricca possono scegliere tra un vasto numero di ristoranti e discoteche per passare le loro serate. E il loro sostegno al regime del capitano Ibrahim Traoré appare incrollabile.
NON STUPISCE, quindi, che nelle varie attività del “Camp Vacances Faso Mebo” non sia comparso nessun riferimento ai temi della giustizia sociale o alle politiche di redistribuzione messe in campo da Sankara. Il termine «socialismo» resta esiliato dal dibattito pubblico, mentre il concetto di «solidarietà nazionale» scalza ogni tipo di rivendicazione di equità economica, fornendo un cappello utile a giustificare la feroce repressione interna del regime contro giornalisti e dissidenti politici.
La «solidarietà nazionale» è anche il mezzo con cui la giunta punta a minimizzare la crescente forza delle sigle jihadiste del paese. Scegliendo di ignorare le profonde cause economiche alla base dell’insurrezione jihadista, il regime di Traoré ha infatti trasformato il conflitto in uno scontro etnico, con l’etnia Peul accusata di «tradimento» dai vertici dello stato burkinabé. Una narrazione che, come testimoniato da numerosi rapporti di Human Rights Watch, ha aperto le porte a violenze indiscriminate dell’esercito sui civili.
MA PER I BAMBINI che partecipano al “Camp Vacances Faso Mebo” il presidente Ibrahim Traoré è tonton, lo zio. La personificazione di una leadership che cementa il consenso non sull’efficacia delle sue politiche ma sulla base dell’appartenenza a una comunità. E la divisa militare che indossano diventa così il simbolo di una «solidarietà» di stampo nazionalista, spogliata da ogni carica rivoluzionaria. Con uno stravolgimento completo del pensiero di Sankara, «militare anti-militarista».
15/10/2025
Source : https://ilmanifesto.it/sankarismo-cementificato














