di Boureima OUEDRAOGO  (traduzione Patrizia Donadello)

Le Reporter, novembre 2019

Il 30 e 31 ottobre 2019, i Burkinabè hanno commemorato il 5° anniversario dell’insurrezione popolare che ha messo fine a 27 anni di potere assoluto di Blaise Compaoré. 5 anni dopo, il Burkina Faso è nell’impasse, sfigurato da dirigenti non all’altezza delle sfide, una classe politica e di cittadini al limite dell’incoscienza e dell’irresponsabilità collettiva. La commemorazione di questo anniversario ha dato modo di osservare che i Burkinabè oggi hanno perso totalmente il senso reale della patria e del dovere. Gli ego e le comodità personali sono diventati più importanti di tutto. Peggio, essi diventano campioni di ipocrisia e cattiveria gratuita.

Il 5° anniversario dell’insurrezione popolare interviene in un contesto securitario, sociopolitico ed economico tra i più inquietanti. A partire dalla sua indipendenza nel 1960 ad oggi, il paese non si è mai trovato in una situazione tanto drammatica. Il paese soffre dei suoi governanti e dei suoi cittadini. L’integrità del territorio è minacciata, con più di un terzo del territorio che sfugge ormai al controllo dello stato. E nel frattempo, il governo, la classe politica, i sindacati e le altre organizzazioni della società civile, i cittadini organizzati e non si comportano come se fossimo in una situazione normale.

Il meno che si possa dire è che il Burkina Faso post-insurrezione è lontano dal sogno degli insorti del 2014. Molti tra essi avevano creduto infatti che più niente sarebbe stato come prima. Ma con loro grande smarrimento, quasi tutto è divenuto peggiore di prima. Si sono sbagliati su tutta la linea. Di chi è l’errore? Senza dubbio del potere generato dalle prime elezioni post-insurrezione, in testa il Presidente Roch Kaboré ed il suo governo, ma anche della transizione, dell’insieme della classe politica, della società civile, dei cittadini presi individualmente e collettivamente. In breve, di tutti e di nessuno! Dunque, 5 anni dopo l’insurrezione, la delusione è quasi generalizzata. Il paese va molto male! Su tutti i piani.

La speranza lascia posto al disincanto. Alcuni cominciano anche a rimpiangere l’insurrezione. Quelli che erano alla base della collera popolare oggi scherniscono gli insorti. Hanno addirittura la pretesa di sostenere che l’insurrezione sia stata un errore e tentano di far rimpiangere Blaise Compaoré di cui esigono il ritorno. Vogliono anche imporre la loro riconciliazione nazionale. Dobbiamo dunque credere che l’insurrezione sia stata un errore ? L’insuccesso del potere attuale è lo stesso di quello degli insorti? L’insurrezione popolare è stata tradita? Da chi? Coloro che pretendono di essere gli autentici difensori dell’insurrezione non sono piuttosto degli usurpatori che credono di appoggiarvisi per potersi rilanciare politicamente ? Molti Burkinabè s’interrogano oggi su ciò che vive il loro paese.

Altri vogliono ricondurre all’insurrezione tutte le disgrazie che il paese conosce. Per essi, tutto ciò è la conseguenza logica della caduta del loro “Dio” Blaise Compaoré.

Purtroppo, ci sono degli insorti che nonostante ciò che oggi subiscono, danno loro ragione.

Ma una cosa è certa. Per i veri insorti, se l’insurrezione fosse da rifare, loro la rifarebbero. È una questione di principio e di impegno per la democrazia e la giustizia. La costruzione di una nazione non è mai una linea diritta ma una strada sinuosa, cosparsa di insidie e di ostacoli di ogni genere. È una lotta di lunga durata. Come direbbe il Presidente Thomas Sankara : “là dove regna la sfiducia vince la perseveranza”.

L’insurrezione del 30 e 31 ottobre 2014 non è stata che la vittoria di una tappa nella marcia verso il rinnovamento politico, istituzionale, sociale ed economico. Dopo l’insurrezione, le forze rivoluzionarie devono prendere il sopravvento e far si che il sogno del rinnovamento diventi realtà.

Gli errori degli insorti che hanno condotto alla continuità 

Ciò che sta capitando in Burkina non è causato dall’errore dell’insurrezione. L’insurrezione ha rivelato la vera realtà del paese. Lo stato e le sue istituzioni sono stati per troppo tempo destrutturati a profitto del potere personale di Blaise Compaoré. La corruzione e il malgoverno hanno avvelenato tutti i settori della società, compreso le Forze armate nazionali. Tutto era stato concepito per preservare il potere personale.

In contropartita, chi stava nei ranghi del potere godeva dei privilegi del sistema, mentre quelli che osavano discostarsi subivano l’ira del principe. I cortigiani ben sistemati avevano in mano l’amministrazione pubblica e i settori strategici della vita nazionale. Non per niente, ancora oggi certi si aggrappano con tutte le loro forze ad un ipotetico ritorno del CDP al potere (Congresso per la democrazia ed il progresso). È la loro assicurazione sulla vita.

Il primo errore degli insorti è stato quello di credere che la sola partenza di Blaise Compaoré bastasse a cambiare il Burkina Faso. Del resto, se la sera del 29 ottobre 2014, Blaise Compaoré avesse rinunciato alla modifica dell’articolo 37, non ci sarebbe stata insurrezione. ci si sarebbe rallegrati di avere costretto Blaise Compaoré alla saggezza e si sarebbe vantata una vittoria della democrazia e dei democratici sulle velleità di potere personali. Con la sua ostinazione, Blaise Compaoré è stato vittima delle sue proprie turpitudini, della sua mancanza di saggezza. È stato sacrificato dal sistema che l’ha mantenuto al potere per tutti quei lunghi anni. Il sistema ha sacrificato Blaise Compaoré per sopravvivere attraverso Roch Kaboré.

Il secondo errore degli insorti è la conseguenza diretta del primo, cioè aver mancato la transizione politica. Una volta via Blaise Compaoré, il governo di transizione che si è instaurato aveva come principale missione quella di organizzare le elezioni per un ritorno veloce all’ordine costituzionale. Il rifondare e riabilitare lo stato e le sue istituzioni, particolarmente la Giustizia e l’esercito, la riforma dell’amministrazione pubblica, il riappropriarsi dei beni defraudati, il trattamento diligente dei grandi dossier di crimini impuniti e pendenti in Giustizia, tutto questo è stato relegato in secondo piano perché non tutti i politici che hanno partecipato all’insurrezione ne avevano l’interesse, ed erano pressati di andare con urgenza alle elezioni. Bene o male, la transizione ha raggiunto questa missione principale.

In maniera del tutto accessoria, sono state adottate, come bonus, alcune leggi rivoluzionarie come la legge anti-corruzione, la riorganizzazione della Giustizia, le leggi relative al regime giuridico della stampa ecc.

A ben vedere oggi, a dispetto di ciò che si può dire del governo della transizione, sarebbe stato necessario mantenere una transizione di almeno due – tre anni, con la chiara missione di raddrizzare il paese sul piano morale, economico e politico. Si sarebbe dovuto procedere con l’allontanamento dei militari dal potere di transizione, riabilitare l’esercito ed il suo comando. Si sarebbe dovuto avere il tempo di chiudere la maggior parte dei dossier pendenti in Giustizia, creando così le condizioni della catarsi indispensabile per un nuovo inizio, e soprattutto per instaurare l’ordine e la disciplina necessari all’avvento ed alla stabilità di un governo virtuoso ed efficace.

Ma i calcoli politici hanno intrappolato la transizione. Nessuno dei partiti politici voleva una lunga transizione per paura che il tempo giocasse a sfavore dei loro progetti elettorali. Tutte le difficoltà relative alla gestione della transizione sono legate a questo errore strategico e a questi calcoli politici che hanno permesso di accettare che nella gestione della transizione fosse invitato il Reggimento di sicurezza presidenziale (RSP). Certi dirigenti della transizione hanno contribuito largamente a soffocare una tale dinamica per saziare le loro ambizioni personali. Erano soltanto degli opportunisti che hanno anche tentato di impedirla.

Il Tenente-colonnello Yacouba Zida ne fa parte. Fino al 30 ottobre, prima della presa dell’assemblea nazionale, era il numero due del RSP. Quando si legge il suo libro, ci si rende conto che per la sua ambizione è pronto ad inventare la storia.

Demandando la gestione del potere post insurrezionale ai non insorti senza un progetto ed un’agenda politica chiara, si sono create le condizioni del caos che oggi il paese conosce. Si è aperta la porta a tutti gli impostori e gli ambiziosi di ogni genere.

Durante i 13 mesi del suo insediamento, la transizione ha dovuto far fronte agli shock delle ambizioni di certi suoi dirigenti ma anche dei dignitari politici. Del resto, bisogna sperare che il Presidente Michel Kafando pubblichi le sue memorie affinché ciò che ha dovuto patire e gestire durante questa transizione sia conosciuto.

Niente di nuovo sotto il sole in Burkina Faso 

Il terzo errore, è quello di essere stati assenti dal processo elettorale post transizione, non solo in termini di candidature, ma soprattutto di mobilitazione popolare al fianco di un candidato, con un progetto alternativo. Dopo l’insurrezione popolare, le vere forze di cambiamento che vi hanno contribuito avrebbero dovuto sviluppare delle iniziative per costruire una federazione che facesse emergere un certo numero di giovani, con statura morale ed una visione, capaci di portare a compimento un progetto alternativo. Così, si sarebbero potute avere delle candidature alla presidenziali ed alle legislative del 2015. Certo, forse non avrebbero vinto le elezioni ma avrebbero potuto contribuire a fare nascere una nuova élite politica, capace di portare speranza, di far sognare il popolo e avrebbero potuto essere almeno una seconda forza politica. Al secondo tour delle presidenziali avrebbero potuto avere un gruppo parlamentare all’assemblea nazionale.

Il quarto errore, è di rifiutarsi di trarre lezione dai limiti dell’insurrezione, di continuare a credere che ciò sia bastato e che con gli stessi attori politici si potesse raddrizzare il Burkina Faso.

Se il MPP ed il Presidente Kaboré sono al potere oggi ciò è dovuto probabilmente al fatto che è il partito che meglio si è preparato per trarre profitto dall’insurrezione popolare. Uscendo dal CDP nell’ultima fase del processo insurrezionale, hanno portato non solo il rinforzo necessario per il successo della lotta, ma hanno pianificato soprattutto il loro progetto elettorale prima, durante e dopo l’insurrezione. Ad uno sguardo delle forze e dei mezzi presenti, la vittoria del MPP era più che logica.

In realtà, è l’alternanza che doveva aver luogo dentro al CDP che si è realizzata col MPP. Per molto tempo, molti Burkinabè avevano creduto, in effetti che Roch Kaboré fosse il delfino di Blaise Compaoré e che successivamente gli avrebbe ceduto elegantemente il passo poiché lui non aveva potuto essere là. Se il MPP è nato, è proprio per ristabilire i suoi dignitari nei “loro diritti”, cioè assicurare la successione di Blaise Compaoré. Ora, col MPP ed i suoi dirigenti, sarebbe utopico sperare nel cambiamento. Molti insorti avevano creduto, con ragione che in mancanza del cambiamento, Roch Kaboré ed i suoi compagni avrebbero osato la rottura con le pratiche e le culture istituzionali con le quali avevano consuetudine durante la loro avventura con Blaise Compaoré.

Ma dopo 4 anni di potere, la constatazione è là, amara. Non possono far meglio di ciò che si è visto fare fino ad ora. Non sanno fare diversamente la politica e non hanno altri approcci del bene e dell’azione di cose pubbliche. Le numerose scivolate e le approssimazioni nella governance lo attestano ogni giorno. Purtroppo, al posto di trarre lezione dalle conseguenze della loro inoperosità e dei limiti delle loro azioni, gli insorti e tutti gli oppositori al regime Kaboré si accontentano di denunciare le tare che tutti conoscono. Non preparano nessuna alternativa. Naturalmente, nonostante tutte le tare e tutte le insufficienze, il Presidente Kaboré ha forti probabilità di essere rieletto in 2020.

A rischio di frustrare gli attori politici opposti al potere, la constatazione è che non c’è ancora una forza politica capace di invertire la tendenza. E’ possibile che forse questo avvenga da qui alla scadenza elettorale. Per il momento, niente di nuovo sotto il sole del Burkina Faso.

La commemorazione dei 5 anni avrebbe dovuto essere l’opportunità di fare una riflessione profonda sulle esperienze da consolidare ma anche delle insufficienze dell’insurrezione, della gestione della transizione e del posizionamento politico degli attori. Ma ahimè, ci si è ritrovati in dibattiti quasi sterili dove, dei presunti difensori dell’insurrezione si sono dedicati al loro sport favorito, quello di  saper accusare gli altri di tradimento, di incompetenza, di corruzione, sbagliando una volta di più le priorità e soprattutto le esigenze del Burkina di oggi, coloro che hanno la pretesa d’essere i difensori delle esperienze dell’insurrezione si accontentano di un narcisismo infantile e ridicolo e si presentano come i difensori autentici della causa dei veri insorti che essi gettano purtroppo in pasto all’opinione pubblica sobillata.

Questa animosità patologica ed inesplicabile non è che la traduzione del complesso e della vergogna di falsi eroi per aver mancato un’opportunità storica di far valere il loro impegno per la patria. Ma non si rifà la storia rendendo gli altri responsabili delle proprie scelte sbagliate. Bisogna trarne coraggiosamente lezione ed avanzare. Ci sono ancora altre lotte più importanti da vincere.

Il disordine, la disonestà e l’incoscienza per qualcuno diventa valore.

Infine, cosa resta dell’insurrezione popolare 5 anni dopo? La principale conquista dell’insurrezione popolare è di avere creato le condizioni dell’alternanza obbligatoria al governo dello stato. Ha gettato le basi di competizioni elettorali aperte a tutte i livelli (presidenziali, legislative e locali). Ha dedicato soprattutto le libertà democratiche che niente e nessuno può rimettere oramai in causa. Si potrebbe dire anche che c’è un’eccessiva espressione delle libertà. Lo testimoniano tutte le difficoltà del governo nell’instaurare l’ordine si fronte all’incivismo quasi generalizzato. Occorre guardarsi dal gettare il bambino con l’acqua sporca. L’insurrezione ha creato le condizioni di  una reale democrazia e di una buona governance a tutti i livelli. Ma i Burkinabè non hanno saputo afferrare tutte le opportunità loro offerte.

Per parafrasare, mr Prosper Farama, il Burkina non ha mai conosciuto così tanti record di mediocrità e non solo dei governanti. In effetti, il record di mediocrità sono tutte queste mancanze da parte di un potere che da quattro anni manca di creatività e capacità di offerta di alternativa nei confronti delle difficoltà della grande maggioranza dei Burkinabè. Peggio, moltiplica le incoerenze ed i brancolamenti là dove occorre rigore, visione e fermezza. Questo potere non è certo all’altezza né delle speranze dell’insurrezione popolare, né delle sfide ed esigenze della situazione sociopolitica e securitaria attuale. Risultato, il paese sprofonda ogni giorno un poco più nell’ignoto.

Ma le mediocrità, sono anche tutti gli atti di incivismo e di diffidenza sistematica verso l’autorità dello stato, tutti gli sforzi per fare fallire e provocare il caos. Sì, la mediocrità è questa ricerca patologica delle comodità e dei vantaggi individuali o di gruppo, anche a prezzo del deterioramento del clima socio economico nazionale. La mediocrità, è anche il rifiuto di vedere il bene nell’azione dell’altro, questa malattia di certi Burkinabè che induce a credere di essere solo loro capaci di far del bene e di essere più patrioti di tutti gli altri. La mediocrità, è ancora questa scusa stupida secondo la quale “il pesce puzza dalla testa” e mette a posto la coscienza di tutti quelli che fanno esattamente il contrario di ciò che proclamano in rapporto alla buona governance, al rispetto del bene pubblico, all’integrità.

E’ vero che il pesce puzza dalla testa! Ma a cosa vale un pesce con una testa sana quando tutto il corpo è marcio e avvelenato?

5 anni dopo l’insurrezione popolare, quale Burkinabè brilla oggi per il suo impegno e il suo sacrificio per la patria, all’infuori dei suoi discorsi? Quale Burkinabè fa sognare i suoi compatrioti? 5 anni dopo, l’insurrezione resta come una vittoria orfana di cui i veri genitori sono accusati di infanticidio dai padri adottivi che avrebbero preferito abortirli ma che gridano ipocritamente al crimine contro il loro bambino adorato.

5 anni dopo, il disordine, l’incoscienza, la disonestà intellettuale, l’ipocrisia e la tentazione di approfittare con ogni mezzo della debolezza delle autorità dello stato sembrano diventare il tratto comune a parecchi gruppi socio professionali e politici del paese, sono diventati i valori che certi Burkinabè difendono con una straordinaria spensieratezza.

L’insurrezione è stata forse tradita. Ma i traditori non sono necessariamente gli additati. Bisogna finirla con questa grossa menzogna. In ogni caso, la storia si scriverà e ciascuno sarà ristabilito nella verità dei suoi atti.

Questo è cominciato con il libro “L’insurrezione incompiuta” di Bruno Jaffré che per il momento è uno dei libri che si avvicinano alla realtà dell’insurrezione, con una radiografia di certi veri attori dell’insurrezione e dei loro ruoli.

(Ritorneremo sul discorso nella nostra prossima edizione).

È più che urgente rimobilitare le vere forze di cambiamento, ritrovare gli uomini e le donne che sognano il Burkina di domani, che trascendono tutti i particolarismi ed altre avidità. I Burkinabè devono avere il senso dello stato, della patria, dell’onore. Il giorno in cui la maggioranza dei Burkinabè prenderà questa direzione, non avrà importanza quale politico sarà a capo dello stato. La politica non sarà più il campo da gioco dei bugiardi, dei ladri e dei senza fede né legge.

Ma nell’attesa, la situazione rischia di andare di male in peggio!

Boureima Ouedraogo

Fonte : https://www.reporterbf.net/5-ans-apres-linsurrection-populaire-le-burkina-faso-a-mal-a-sa-gouvernance-et-a-ses-citoyens/?fbclid=IwAR2NMj_f47VaITwFjYKdy9UepRHF4O7-0lfPZ9XAwrjdyFcQJ3sQdqHEkfU

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