L’articolo che vi proponiamo è stato pubblicato sul quotidiano italiano Il Manifesto il 23 ottobre 1987. Ci è pervenuto dallo stesso autore Umberto Manni, che ne ha conservato gelosamente copia, con questa breve nota a seguire. Ci teniamo a ringraziarlo enormemente.

La redazione

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Avevo trascorso quasi tutto il 1987 in Burkina Faso, collaboravo, da geologo, ad un programma di sviluppo agricolo-pastorale finanziato dal Pnud, programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Avevo solo intravisto due volte il Presidente, senza mai incontrarlo. Egli aveva acconsentito a che lo intervistassi per conto de “Il Manifesto”, ma ero dovuto improvvisamente rientrare in Italia prima che l’intervista potesse aver luogo. Fu così che mi fece recapitare le sue risposte alle mie domande scritte che avevo affidato alla sua segreteria: Tragicamente, esse ci pervennero un paio di giorni dopo il suo assassinio.

E’ impressionante l’attualità delle posizioni di Sankara sul non senso del ripagamento del debito da parte dei paesi poveri nei confronti dei grandi creditori internazionali.

Umberto Manni 9 marzo 2012

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L’ultima intervista di ThomasSankara

di Umberto Manni

«Verrò con piacere al più presto in Italia» : con queste parole si chiude l’intervista al Manifesto del presidente Thomas Sankara. L’idea di questa intervista era maturata nel luglio scorso, alla fine di un soggiorno nel Burkina Faso dove mi trovavo dal novembre ’86.
Ero stato colpito, cosi come la maggior parte dei visitatori in arrivo a Ouagadougou, dai caratteri originali della rivoluzione burkinabè, dal suo dinamismo, dalla mobilitazione che sapeva produrre.

Devo dire che qualche tempo prima avevo esitato ad avanzare una simile richiesta ed ero stato in realtà sul punto di intervistare l’allora «numero due», Blaise Compaoré. La proposta era stata fatta alla segreteria dei Cdr (Comitati di difesa della rivoluzione).
Quell’incontro non poté aver luogo e pensai allora a rivolgermi direttamente a Sankara.

La prima volta che mi recai alla presidenza, Paulin Bamouni, capo del servizio stampa, non poté in realtà nemmeno ricevermi. Era in scarpette e tutina e mi indicò, lo intravidi appena, il capitano Sankara. Anche lui si accingeva all’allenamento. Era lunedì e avevo dimenticato l’ora di «sport di massa».

Lettre de Paulin Bamouni

Incontrai poi Bamouni (ucciso anche lui nel golpe del 15 ottobre) altre due volte. Gli lasciai il testo delle domande. Il presidente avrebbe preparato le risposte, e poi ci sarebbe stato anche un colloquio diretto.

Bamouni sorrise, alludendo a certe tiratacce notturne che Sankara era solito riservare ai giornalisti.

Poi l’incontro fu rinviato per i troppi impegni del presidente e, quando sarebbe stato possibile, io ero ormai in Italia.

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Il manfesto 23 octobre 1987 première page

« La nostra rivoluzione » SANKARA “al Manifesto” : il Burkina Faso è il suo popolo

di Umberto Manni

« Réponses a votre questionnaire pour le quotidien communiste italien il Manifesto ». Questa l’intestazione (carta con il timbro «Présidence du Faso, Presse présidentielle» delle risposte inviateci dal capitano Sankara alle nostre domande. Dopo l’assassinio del presidente, questo testo ha un eccezionale valore documentario su un’esperienza politica e di governo tra le più originali e su un paese tra i più dimenticati.

Capitano Sankara, la rivoluzione ha già quattro anni. I risultati finora conseguiti corrispondono alle sue attese?

In parte si. Non si è mai soddisfatti abbastanza dei risultati che si ottengono quando si è alla guida di un paese economicamente arretrato, dominato e sfruttato per decine d’anni dal saccheggio imperialista.

In quale campo si sono avuti i risultati più significativi?

Sul piano politico e sociale abbiamo favorito la presa di coscienza delle masse popolari che oggi sanno quali torti subivamo come popolo dai regimi reazionari. Esse, infatti, venivano tenute nell’oscurantismo e nell’ignoranza, lontane da ogni potere decisionale. Oggi il popolo, mobilitato attraverso gli organismi popolari dei Comitati di difesa della rivoluzione partecipa alla vita politica, economica, culturale e sociale. E’ questo per noi un risultato importante e significativo.

Qualcuno pensa che il tempo giochi contro la rivoluzione, perché il fallimento degli obiettivi provocherebbe smobilitazione e pericolosi meccanismi di autoconservazione. In questo senso, quali sono secondo lei i ritardi e le difficoltà più importanti da superare per rilanciare il dinamismo del processo in corso?

Chi pensa che il tempo gioca contro la rivoluzione ha torto. Per noi, le basi sono ormai gettate a tutti i livelli della vita del paese e le masse hanno capito che la rivoluzione va nel senso dei loro interessi. Affrontiamo con impegno le difficoltà che incontriamo in alcuni settori precisi insieme alle masse, che prodigano i loro suggerimenti per il continuo rilancio della rivoluzione.

Ci può precisare il significato e l’impatto della parola d’ordine «Consumiamo burkinabè»?

La parola d’ordine «consumiamo burkinabè» vuol dire «produrre e consumare le nostre materie prime» per la salvaguardia della nostra valuta. Ogni volta che acquistiamo dall’estero un prodotto che avremmo potuto produrre noi, favoriamo altre industrie, facendo fruttificare i capitali stranieri a spese dei nostri lavoratori, dei nostri operai, della nostra economia nazionale. Infine, giacché chiediamo al nostro popolo di contare sulle proprie forze, bisogna che gli consentiamo di valorizzare ed apprezzare quello che produce col sudore della propria fronte.

Dare voce alle masse contadine, democratizzazione dello stato, comprese le forze armate, lotta serrata al parassitismo e alla corruzione, internazionalismo, liberazione della donna, sport di massa; è incontestabile che un cambiamento delle mentalità stia avvenendo in Burkina Faso. In che modo e a quali condizioni sarà possibile avanzare in egual misura nel campo dell’autosufficienza alimentare, della sanità, dell’istruzione, delle infrastrutture, etc.., tenuto conto delle enormi difficoltà oggettive e delle condizioni generalmente molto dure degli aiuti internazionali?

Stiamo procedendo in tutti i campi al ritmo delle attuali capacità del nostro popolo. In questo momento siamo vicini all’obiettivo dell’autosufficienza alimentare poiché privilegiamo le colture di largo consumo interne a detrimento delle colture più ricche destinate all’esportazione.

Sul piano sanitario, dell’educazione e delle infrastrutture, l’investimento umano ha permesso concrete realizzazioni. Ogni villaggio, ogni struttura territoriale ha costruito edifici destinati ad ambulatori, piccoli dispensari, scuole, magazzini per lo stoccaggio dei cereali. Lo stato rivoluzionario si è limitato a farsi carico di taluni aspetti del loro funzionamento. Non aspettiamo a braccïa incrociate l’aiuto internazionale. Per noi costituisce solo un complemento.

Il Manifesto 23 octobre 1987 page de l'interview

Sennen Andriamirado (redattore capo di «Jeune Afrique») ha appena scritto un libro molto utile per la migliore conoscenza del Burkina. M’è parso però d’incontrarvi una contraddizione. Da una parte lei è definito come una «speranza» per l’Africa, e non si vede come ci si potrebbe battere diversamente «in un’Africa dove solo i demoni del potere fanno la legge», coloro che hanno come «sport favorito la battaglia per il potere e per i soldi, attraverso la manipolazio-ne dell’opinione pubblica». D’altra parte, lei è trattato come un idealista.

Non sta a me dire se sono realista o idealista E’ il popolo del Burkina Faso che ha tutti i titoli per giudicarmi. Ciascuno definisce queste due nozioni in funzione della sua ideologia, ma io penso, dal mio punto di vista naturalmente, che bisogna avere un minimo d’idealismo e di realismo per intraprendere azioni di trasformazione sociale. Quanto al libro a cui allude, mi dispiace che il suo autore si sia soffermato cosi a lungo sulla mia persona. Avrebbe dovuto parlare della rivoluzione burkinabè e aspettare ancora qualche anno per fare l’analisi delle sue forze e delle sue debolezze.

Cosa pensa del comportamento dell’opinione pubblica e dell’ «intellighenzia» africane nei confronti del potere e dei bisogni delle masse più povere?

L’opinione pubblica e l’intellighenzia africane non costituiscono un blocco omogeneo. Vi si ritrovano purtroppo sia i nemici che gli amici dei popoli africani. Coloro che hanno scelto di stare dalla parte delle masse popolari sostengono e difendono concretamente questi principi ; altri, alleati dell’imperialismo internazionale e dei suoi valletti locali, pensano solo ai propri egoistici interessi.

Sono note le ostilità che incontrate in campo internazionale e il fastidio che si prova in talunï paesi vicini preoccupati del «caso Sankara». Vuole precisarci, invece, quali sono i vostri nemici interni? Lei pensa che possano trovare delle basi sociali per destabilizzare il regime?

I nostri nemici interni sono la borghesia compradora, la borghesia politico-burocratica generata dai regimi che avevano abdicato agli interessi nazionali, grazie ai quali s’è arricchita illecitamente e sregolatamente, e le forze retrograde che traggono la loro potenza dalle strutture tradizionali di tipo feudale. Tutte queste forze sono state smascherate ed esse hanno ormai una ristretta base nella nostra società.

Si è dovuti giungere a staccare la corrente elettrica al palazzo del Moro-Naba, Imperatore dei Mossi nel 1983, per convincerlo a pagare le sue fatture come ogni altro cittadino burkinabè. Quali sono oggi i rapporti tra il potere politico e le autorità tradizionali? Più in generale, quali contraddizioni e quali elementi di continuità ravvisa lei tra la società tradizionale africana ed il potere popolare?

Non esistono particolari relazioni tra il potere politico e le autorità tradizionali e, quando esistono, esse sono antagoniste. Molti capi tradizionali hanno aderito alla Rivoluzione, avendo capito la marcia irreversibile della storia. Per questa ragione, non ci sono elementi di continuità tra tali strutture decadenti e il potere popolare.

Lo scorso 8 maggio lei ha partecipato a Ouagadougou a un incontro con un migliaio di giovani prostitute ed ha parlato della necessità che esse si organizzino. Il giorno successivo la radio annunciava il lancio dell’educazione sessuale nelle scuole.

La prostituzione è un fenomeno sociale che noi combattiamo perché degrada la donna a rango d’oggetto, la spersonalizza e costituisce un freno alla piena realizzazione e alla liberazione della donna. Su questo argomento noi cerchiamo di coniugare gli atti alle parole, ma si tratta di una lotta di lungo respiro. Ci vuole tempo poiché bisogna educare le masse e nulla di ciò che tocca la mentalità può essere ottenuto senza la pazienza.

Il Burkina Faso è oggi probabilmente all’avanguardia, in Africa, per quanto riguarda il dibattito sulla liberazione della donna. Vorrei sapere tuttavia se, secondo le donne dell’Union des Femmes du Burkina (Ufb), esse godono di sufficiente autonomia nei confronti del quadro politico definito dal Consiglio Nazionale della Rivoluzione.

Come vuole che lUfb goda di autonomia rispetto al quadro politico definito dal popolo? Non capisco la sua domanda. L’Ufb è parte integrante della Rivoluzione e costituisce una delle basi del regime popolare. Qualsiasi potere è solido per la sua coesione e non per il suo sgretolamento. L’Ufb è una emanazione del nostro potere popolare ; non può dunque staccarsene.

Si parla della creazione di un partito. Perché? A causa di problemi di unità fra le diverse tendenze esistenti nel seno della rivoluzione? E che rapporto ci sarebbe con i Comitati di difesa della rivoluzione?

Le questioni organizzative costituiscono uno dei compiti imperativi della Rivoluzione. Essa non può approfondirsi senza una struttura d’avanguardia, e noi ci stiamo pensando. Tuttavia non la concepiamo in maniera burocratica. Per noi l’unità non vuol dire mancanza di differenti sensibilità. Vogliamo una unità pluralista, democratica, che arricchisca il popolo, che, organizzato, dovrà partecipare alla costruzione di questa struttura d’avanguardia e per questo, al momento opportuno, ne sarà informato e protagonista. I Comitati di difesa della rivoluzione avranno dei rapporti politici con questa struttura, a cui saranno legati dal principio del centralismo democratico.

Quale è il suo punto di vista sui problemi della pace e dei rapporti Nord-Sud?

Solo i popoli dei diversi paesi potranno trovare una soluzione definitiva al problema della pace, giacché gli stati contemporanei sono troppo calcolatori ed egoisti per favorire la pace mondiale. Questa è pericolosamente minacciata, inoltre, dalla politica egemonica e dalla volontà di potenza e di dominazione degli stati imperialisti.

Quanto ai rapporti Nord-Sud, essi dipendono da numerosi fattori interni ed esterni, sia nei paesi che dispongono di tutto, sia in quelli sottosviluppati. Essi obbediscono ai vincoli delle relazioni internazionali che sono segnati da una vera e propria legge della giungla. Alcuni sforzi, tuttavia, sono stati compiuti in questi ultimi anni da una parte e dall’altra in favore di una cooperazione più rispondente ai bisogni delle parti interessate. Resta però molto da fare per decolonizzare i rapporti Nord-Sud, anche se alcuni stati europei l’hanno già capito.

Il suo paese ha appena aperto una rappresentanza diplomatica a Roma. Alcuni italiani stanno promuovendo una associazione per sviluppare l’amicizia tra l’Italia e il Burkina Faso. Avranno il piacere di incontrarla presto in Italia?

Noi abbiamo molta simpatia per il popolo italiano, tra cui contiamo numerosi amici che sostengono gli sforzi di trasformazione che stiamo spiegando in Burkina Faso dall’avvento della rivoluzione. La creazione di una associazione per l’amicizia tra l’Italia e il nostro paese dimostra che gente di buona volontà si batte ogni giorno anche da voi per aiutare il nostro popolo a vincere l’analfabetismo, la malattia e la fame. Il popolo italiano è un popolo generoso e caloroso che ha dato tanto al mondo. Noi ne siamo fieri. Auspichiamo che questo tipo di rapporto si rafforzi sempre di più tra i diversi popoli, per contribuire insieme a combattere la miseria e lo sfruttamento, per un mondo di pace e giustizia. Per tutte queste ragioni, non appena il tempo e l’occasione me lo permetteranno, visiterò con piacere il vostro bel paese.

Intervista realizzata da Umberto Manni.

L’articolo è stato pubblicato sul n. 251 de Il Manifesto il 23 ottobre 1987

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Ipotesi sul golpe. Prime difficoltà del nuovo regime

di Umberto Manni

Ieri Blaise Compaoré, nuovo leader del Burkina Faso, secondo Le Monde, ha ammesso che il Fronte popolare l’organismo centrale costituitosi dopo il golpe, non lo riconosce totalmente. Inoltre la formazione del nuovo governo, annunciata per la fine di questa settimana «non costituisce più una priorità per l’immediato; il nuovo régime deve prima dare delle spiegazioni alle masse».

Gli osservatori stranieri hanno notato poi che la mobilitazione di sostegno chiesta alla popolazione è stata finora un fallimento. Incidenti sono segnalati nelle scuole della capitale e all’università.

Da segnalare che nel discorso alla radio, di lunedì sera, il capitano Compaoré ha presentato Sankara come un «rivoluzionario deviante» e non più «rinnegato e autocrate» come lo aveva definito il giorno dopo il colpo di stato, aggiungendo stavolta che avrebbe meritato «una sepoltura degna della speranza che ha suscitato in un certo momento della sua vita».

Nel cimitero nei paraggi della capitale, dove è stata sepolta la salma di Sankara insieme a quelle di altri suoi sei compagni caduti con lui negli scontri sanguinosi, la tomba dell’ex presidente è stata ricoperta dai suoi fedeli da una bandiera nazionale.

Su centinaia di fogli di carta scritti a mano, abbandonati sul tumulo, si può leggere : «Sarai vendicato» e «Siamo tutti con Sankara».

Una delegazione guidata da Lingani si è già recata in Ghana per dare spiegazioni al regime di Jerry Rowlings, il più vicino a Sankara dei leaders africani. Ma la delegazione continuerà in questi giorni la sua tourné in tutti i paesi dell’Africa dell’ovest, ed è attesa nei prossimi giorni in Togo e Bénin.

Probabilmente La lotta politica è precipitata quando l’ex presidente ha dichiarato dl voler sciogliere le formazioni di «estrema sinistra», che egli riteneva incompatibili con il bisogno di unità che la fase richiedeva.

Forse il golpe, nella sua parte cruenta, non era premeditato e Compaoré sta in qualche modo controllando la spinta di Zongo e Lingani (con Compaoré e Sankara il «nucleo forte» del passato regime) e soprattutto quella di cosiddetti sindacalisti.

Ma è legittimo sollevare dubbi sulla versione del fronte popolare. Secondo funzionari dell’ambasciata francese a Ouagadougou, Sankara sarebbe stato ucciso nella sua residenza e non davanti alla sede del Conseil national de la révolution, come in un primo tempo si era saputo.

Harlem Desir esponente di Sos racisme, che era nei giorni scorsi a Ouagadougou per il Forum internazionale contro l’apartheid, presieduto dallo stesso Sankara, ha rilasciato nei giorni scorsi una inquietante dichiarazione a Liberation del 16 ottobre. Sankara in una conversazione privata di domenica 11 ottobre, gli avrebbe confidato che «temeva grosse pressioni da parte di persone che volevano profittare del potere per puntare a tangenti su alcuni contratti».

Bisognerà attendere ancora qualche tempo per capire come sono andate davvero le cose.

Solo cosi, e sulla base degli atti che i nuovi dirigenti compiranno, si potrà capire se una tragedia avrà offuscato una rivoluzione, che comunque si sforzerà di percorrere la strada degli interessi popolari, oppure se hanno prevalso definitivamente le posizioni golpiste
in dispregio della volontà popolare.

La grande incognita è ora il capitano Pierre Ouedraogo, segretario generale dei Comitati di difesa della rivoluzione, gli organismi del «potere popolare»; sul ruolo da lui avuto negli scorsi drammatici avvenimenti ; sulla sua condotta in questi ultimi giorni.

Secondo le ultime notizie anche Pierre Ouedraogo (da non confondere con Ernest Ouedraogo, ministro dell’amministrazione territoriale anche lui arrestato in questi giorni) è agli arresti domiciliari.

E’ stato giustamente detto che con la morte di Sankara in nessun caso tutto potrà tornar come prima. Se anche «continuità» ci sarà nella rivoluzione, questa tragedia non potrà essere cancellata. Questo giovane ufficiale, 38 anni, da quattro al potere, aveva mostrato che si può governa senza e contro corruzione e nepotismo.

Sentivamo vicina la sua rivoluzione perché essa procedeva, anche se tra molte difficoltà, qualche approssimazione e forse degli errori, nel segno dell’«egualitarismo».

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