Federico Bastiani, giornalista freelance, collabora con varie riviste come Amnesty International, Volontari per
lo Sviluppo e con il Centro di Documentazione delle Donne di Bologna (www.women.it) curando per loro la rubrica “donne senza confini” www.women.it/blogs/donnesenzaconfini
Quando leggiamo libri sull’Africa il pessimismo regna sovrano, corruzione, sottosviluppo, denutrizione, malattie, sono le parole che sempre ricorrono.
Eppure più di vent’anni fa l’Africa ha avuto la possibilità di cambiare il proprio destino grazie ad un uomo, un rivoluzionario, il Che Guevara africano, Thomas Sankara.
Lo slogan dei movimenti no global “un altro mondo è possibile” si basa anche sull’esperienza rivoluzionaria compiuta da Thomas Sankara in Burkina Faso dal 1983 al 1987.
La Francia a partire dal 1919 utilizzò l’Alto Volta (oggi Burkina Faso) come territorio strategico per controllare le altre colonie, era l’unico utilizzo possibile di un paese privo di qualsiasi materia prima.
Nel 1960 ottenne l’indipendenza e l’Alto Volta fu saccheggiato dalla classe dirigente che prese il potere formata nelle scuole francesi.
Prima del 1983 il Burkina Faso era uno dei paesi più poveri del mondo, senza materie prime, un medico ogni cinquantamila abitanti, mortalità infantile del centottantasette per mille, tasso di alfabetizzazione del 2%, speranza di vita di soli quarantaquattro anni.
Thomas Sankara, figlio di un militare, a trentaquattro anni prese il potere “per restituire l’Africa agli africani”.
In soli quattro anni rivoluzionò il suo paese per prima cosa ribattezzando l’Alto Volta in Burkina Faso ovvero paese degli integri.
La corruzione era ed è in Africa uno dei principali impedimenti ad un vero sviluppo, solo per avere un’idea il defunto dittatore dello Zaire, Mobuto, aveva un patrimonio personale depositato all’estero pari a otto miliardi di dollari. Nel 2004 il debito estero del paese ammontava a tredici miliardi di dollari.
Thomas Sankara ridusse drasticamente le spese dell’apparato statale che fino ad allora assorbiva il 70% del bilancio, chi era sospettato di corruzione veniva licenziato in tronco. Abolì tutte le auto blu, lui stesso arrivava alle riunioni ministeriali in bicicletta. “Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un paese povero” amava ripetere. I capi di stato esteri in visita nel Burkina Faso, non venivano ricevuti nei palazzi presidenziali ma nei villaggi più poveri del paese. Uno degli obiettivi di Sankara era ridare dignità agli emarginati, ai contadini.
Per far questo adottò politiche impopolari, aumentò i prezzi dei prodotti agricoli, introdusse dazi doganali, raggiungere l’autosufficiente alimentare era la sua missione.
Il “patto coloniale” voluto dalle potenze europee rende ancora oggi molti Stati africani schiavi del mercato. Gli europei imposero alle proprie colonie di coltivare ciò di cui loro avevano bisogno. In Ciad si produceva il cotone, in Ruanda il tè, in Senegal gli arachidi. La monocoltura ha messo in ginocchio questi paesi. Ogni anno il prezzo dei prodotti agricoli scende sul mercato internazionale così i paesi africani sono costretti ad importare il cibo per sopravvivere indebitandosi.
Sankara voleva sfuggiare a questa condanna e ci riuscì.
Nel biennio ’85-’86 il Burkina Faso raggiunge l’autosufficienza alimentare, la produzione di cereali toccò livelli record, il pil cresceva del 4,6% l’anno. Sankara comprese l’importanza dello sviluppo dei trasporti ed iniziò la costruzione della principale rete ferroviaria del paese. Nel febbraio del 2004 l’Etiopia ha vissuto una tremenda crisi alimentare. Centinaia di migliaia di tonnellate di mais sono marcite nei silos perché non c’erano mezzi di trasporto adeguati ed intanto le popolazione moriva.
Queste erano le ingiustizie alle quali Sankara si opponeva e rifiutò l’aiuto internazionale.
“Con lo stipendio annuale di un dipendente della Fao possiamo costruire una scuola in Burkina Faso”.
La comunità internazionale non vedeva di buon occhio la politica di Sankara che non voleva aprire il proprio mercato ai capitali stranieri ed entrò in guerra aperta con il Fondo Monetario Internazionale. Nel 1983 il debito estero del Burkina Faso era di 398 milioni di dollari ovvero il 40% del pil. “Il debito nella sua forma attuale è la riconquista coloniale, il debito non può essere rimborsato, quello che l’Fmi chiede lo abbiamo già fatto”.
Sankara attuò il risanamento dei conti pubblici come chiesto dall’Fmi non seguendo però le loro “ricette” ovvero tagliando lo stato sociale lasciando inalterate le spese militari.
Nel programma rivoluzionario di Sankara le donne rivestivano un ruolo importante ed alquanto atipico per un paese africano. Nel 1985 lanciò la campagna contro la mutilazione genitale femminile, introdusse il divorzio che poteva essere chiesto dalla donna senza il consenso del marito, la partecipazione femminile alla vita politica raggiunse livelli insperati.
La sorella di Sankara, Odile Sankara, ha continuato l’impegno del fratello sulle tematiche riguardanti le donne fondando l’associazione “talents de femmes” per promuovere l’eccellenza femminile nella scrittura e nelle arti. Abbiamo incontrato Odile, attrice di teatro e di cinema, ad Ancona. “Il Burkina Faso non ha risorse naturali però siamo ricchi culturalmente, siamo sessanta etnie capaci di convivere e portatrici di valori culturali. L’obiettivo dell’associazione è mostrare la donna artista, renderla una figura accettata e valorizzare la produzione artistica artigianale delle donne”.
Il 15 ottobre 1987 l’esperienza rivoluzionaria si interruppe. Thomas Sankara fu ucciso in un agguato organizzato dal suo compagno Blaise Compaoré, l’attuale Presidente del Burkina Faso.
Oggi il Burkina Faso è tornato ad essere un paese “normale”. Corruzione dilagante, le spese dello Stato sono tornate a crescere così come il debito. Blaise Compaoré ha seguito alla lettera i dettami di Washington, ha aperto il mercato ai trust agroalimentari degli Ogm cosa che alcuni paesi come lo Zambia hanno rifiutato mentre la popolazione continua a soffrire.
Che cosa non ha funzionato nella politica di Sankara? Lo abbiamo chiesto a Carlo Batà, autore del libro “l’Africa di Thomas Sankara” (ed. Achab). “Ha cercato di cambiare le cose troppo in fretta ed ha sottovalutato le forze che gli erano contro all’interno (soprattutto chi aveva in mano il potere nella campagna e la borghesia cittadina). Informato del tentativo di colpo di stato rispose che in Burkina Faso c’erano altri sette milioni di Sankara”.
Jean Ziegler, relatore speciale all’Onu per il diritto all’alimentazione ed autore del libro “l’impero della vergogna” (ed. Marco Tropea Editore) che ha conosciuto Thomas Sankara, afferma che è solo questione di tempo, Sankara è ancora una figura molto forte nell’immaginario collettivo africano, è stato il primo antiglobalizzatore ed oggi il cambiamento da lui sognato è davvero possibile. L’America Latina sta dando segnali di inversione di tendenza, in Africa lavorano figure carismatiche antiglobalizzatrici come Aminata Traoré, il sogno di Sankara potrebbe non essere così lontano.
Federico Bastiani