4 agosto 1983–4 agosto 2003: un esempio di sviluppo autonomo
Paese chiuso, agricolo e saheliano, situato nell’Africa sub-sahariana, il Burkina Faso divide e condivide aspetti culturali ed economici con gli Stati vicini, ai quali è del resto storicamente legato malgrado l’edificazione di barriere fittizie, chiamate frontiere, che hanno molte volte mostrato segni indelebili di un pesante fardello coloniale che resta sempre impresso nelle relazioni tra micro-stati del continente africano.
Il Burkina Faso ha una superficie di 274.000 Km², la sua popolazione è di 12.000.000 di abitanti di cui il 75% tra i 15 e i 40 anni ed il 52% donne. È limitato a nord-ovest dal Mali, ad est dal Niger, a sud-ovest dalla Costa d’Avorio, a sud dal Ghana e dal Togo, a sud-est dal Benin. La capitale Ouagadougou è situata nel cuore del paese, e Bobo Dioulasso, il centro dell’attività economica, è ad ovest.
Il clima saheliano-sudanese, tropicale, varia da 20°C in gennaio a 40°C in aprile, con l’alternanza di una stagione secca, da novembre a maggio-giugno, e di una stagione umida (1250–650 mm) da luglio ad ottobre.
L’economia riposa essenzialmente sull’agricoltura e sull’allevamento con qualche riserva mineraria (zinco, argento, oro, manganese, fosfati, rame, marmo); esiste una debole produzione industriale, una rete stradale di 13.070 Km, una rete ferroviaria di 500 Km, e i due principali aeroporti si trovano a Ouagadougou e a Bobo Dioulasso.
A un quarto di secolo dagli anni ‘60, anni dell’indipendenza coloniale, il continente africano è immerso in un’atmosfera di conflitti, di siccità e di carestia, disegnato a tavolino -rimasto quasi inalterato dalle potenze coloniali attorno ai suoi pascoli- chiuso. Da una parte c’è la mancanza di volontà politica dei governanti africani docilmente posti sotto il giogo delle multinazionali il cui unico scopo è quello di appagare i propri interessi, e dall’altra vi sono invece centinaia di milioni di anime che non hanno né una minima copertura sanitaria né accesso ad un sistema educativo.
Come molti altri paesi, l’economia del Burkina Faso prima dei quattro anni di esperienza rivoluzionaria riposava su una sorta di assistenzialismo caratterizzato da aiuti esteri, contrazione di debiti e tutto ciò che ne seguiva: corruzione, malgoverno, dipendenza e perdita di dignità.
È in questo contesto di ingiustizia, di saccheggio e di irresponsabilità generalizzate che le diverse forze sindacali e sociali hanno, senza sosta, condotto la lotta su differenti fronti, mobilitando così le popolazioni che sognavano un cambiamento radicale al fine di conoscere una vita normale.
Terzo di dodici figli e primo maschio della famiglia Sankara, Thomas è stato presto influenzato dalla necessità di combattere i diversi mali della società. Alla proclamazione dell’indipendenza dell’Alto Volta, Thomas, a 11 anni, prepara assieme ai suoi compagni una bandiera nera bianca e rossa che issa nel luogo e al posto della bandiera francese. Inoltre si intromette negli affari interni di una famiglia vicina per denunciare l’ingiustizia praticata da una sposa verso l’altra concubina. All’interno della famiglia Sankara, Thomas in età adulta è stato confidente per gli uni e mediatore per gli altri. Talvolta qualcuno non concepiva che un giovane uomo osasse intervenire nei problemi dei quali non era stato investito di nessuna responsabilità. Ma tutti i parenti riconosceranno comunque la correttezza delle posizioni di Thomas.
Frequenterà e si formerà politicamente con le organizzazioni sindacali e politiche burkinabé e di altri paesi in occasione dei suoi soggiorni accademici.
Il programma di lotta contro la miseria e per lo sviluppo era stato abbozzato diversi anni prima di accedere al potere, perché per Thomas era fondamentale costruire le basi ideologiche al fine di dar vita ad un progetto di società, con la mobilitazione di tutte le forze vive del progresso cosicché, una volta al potere, la gestione potesse essere più efficace, reale e concreta, a tutto vantaggio della schiacciante maggioranza.
In effetti, il 4 agosto 1983, attraverso la voce di Thomas Sankara la rivoluzione veniva annunciata in Burkina Faso; e le popolazioni in tutti i villaggi si sono impegnate a lavorare tramite i CDR (Comitati di Difesa della Rivoluzione).
Le scelte ed i nuovi orientamenti economici sono stati adottati in base alle necessità ed ai bisogni reali del popolo, turbando però gli interessi ed i privilegi della classe franco-africana. Si rifiutavano i modelli di sviluppo imposti dall’esterno, non adatti, ideati da qualche esperto in un laboratorio di Washington, Parigi o Londra, ad uso esclusivo di mode importate, élitarie, imitative. Come diceva Thomas Sankara: “Noi abbiamo bisogno dell’aiuto che ci aiuti a superare la necessità di aiuti”.
Quando si arriva al potere e ci si preoccupa di come fare per nutrire, curare, vestire ed educare milioni di persone, “bisogna prima di tutto conoscere la realtà che si vuole cambiare, la realtà del proprio popolo. Bisogna osar guardare la realtà in faccia, poi osare dare un calcio ai privilegi acquisiti da lunga data, da così lunga data che sembrano essere diventati ormai naturali, incontestabili”. (T. Sankara)
Come spezzare la dipendenza culturale, rompere la dipendenza finanziaria, organizzare la lotta contro le ineguaglianze naturali e le ottusità sociali?
Questo obiettivo di autonomia passava attraverso la trasformazione della società, a cominciare dal mondo rurale (l’85% della popolazione).
In effetti, per esigenze di giustizia sociale, le prime misure andavano a vantaggio della popolazione contadina che, per numero, posizione e ruolo, era la categoria che aveva pagato subito e più di tutti a causa della dominazione coloniale e dello sfruttamento della borghesia nazionale. Non è forse vero che: “Lo schiavo che non prende la decisione di lottare per liberarsi merita completamente le sue catene”. (T. Sankara)
Alcune misure forti hanno portato alla soppressione dell’imposta di capitazione, alla trasformazione agricola, alla riforma agraria (“la terra appartiene a chi la coltiva”). Non si trattava di fare dell’eguaglianza livellata al basso, ma una ricerca dell’equilibrio città-campagna, necessaria quando si sa che solamente il 25% della popolazione ha accesso all’acqua potabile, e che non avendo potuto acquistare una compressa di nivachina c’è gente che muore mentre altra parla della tredicesima. La liberazione dalla schiavitù e l’autosufficienza alimentare hanno un punto comune forte: l’acqua.
La rivoluzione ha accentuato gli sforzi nella ricerca del dominio di questo raro elemento; da qui la creazione del Ministero dell’acqua. L’interazione tra le strutture popolari e il popolo ha permesso di lottare contro l’ostilità della natura e dell’azione umana degradante per l’ambiente. Dopo campagne di informazione e di sensibilizzazione condotte dal ministero della questione contadina, sono state lanciate le “3 lotte”: lotta al taglio abusivo della legna (principale fonte di energia), lotta alla divagazione selvaggia degli animali (pascolo), lotta contro gli incendi della boscaglia (ragioni culturali o agricole).
La protezione dell’ambiente passava necessariamente per la ricerca di soluzioni nuove ed originali, che consistevano in campagne di sensibilizzazione e spiegazione in vista dell’introduzione di stufe più moderne e a più bassi consumi. Gli spazi per il pascolo sono stati delimitati per evitare così conflitti tra agricoltori ed allevatori. Al fine di arginare i fuochi della boscaglia e gli altri incendi si è provveduto a delimitare i luoghi di culto dove svolgere i riti; i periodi di caccia sono stati ben definiti per salvaguardare la fauna e la flora ed è stata infine avviata una vasta campagna di rimboschimento.
Succedeva regolarmente a Thomas Sankara di andare in incognito a parlare con la gente nelle campagne lontane per ascoltare ed incoraggiare, smitizzando così anche la funzione di presidente. Per questo sono nate per lui le espressioni PF e Tom Sank.
È stato il solo capo di Stato che ha vietato che il suo nome venisse cantato: “Io non sono che di passaggio, oggi sono io il presidente, ma domani sarà un altro, e allora perché limitare le vostre creazioni nel tempo?” (T.S.); e che vi fosse il culto della personalità, perché era il Popolo ad essere al di sopra di tutto.
È evidente che tutto ciò non si poteva realizzare senza il coinvolgimento della gente, perché lo sviluppo non sarebbe potuto venire ad opera di un’amministrazione. Il potere è stato dunque decentralizzato per uno sviluppo endogeno e popolare, con una democrazia diretta alla base di tutti i meccanismi rappresentativi e decisionali, per la trasformazione progressista e progressiva della società. È la ragion d’essere dei CDR (Comitato di Difesa della Rivoluzione), l’espressione di questa democrazia diretta e partecipativa. L’adesione delle masse richiedeva anche dirigenti esemplari: rigore, dignità, sacrifici, riduzione del tenore di vita dei responsabili, lotta alla corruzione e alla coscienza dei lavoratori perché essi stessi potessero imparare a decidere della propria sorte dal momento che: “noi non sviluppiamo un popolo, un popolo si sviluppa” (Frantz Fanon).
Ci sono delle realizzazioni concrete che provano che la miseria e la povertà non sono una fatalità: 2.500.000 bambini tra i 7 e i 14 anni sono stati vaccinati contro il morbillo, la febbre gialla ecc., ogni villaggio ha ottenuto un PSP (Posto di Salute Primaria), e questo a dimostrazione del fatto che non bisogna lanciarsi in progetti giganteschi, illogici. Il tasso di alfabetizzazione è passato dal 16% al 22% in 4 anni, 258 bacini d’acqua sono stati realizzati nello stesso periodo; 1000 pozzi e 302 trivellazioni, 4 milioni di m³ contro 8,7 milioni di m³ è stato il volume di acqua stoccato tra il 1960 e il 1983; in quindici mesi la rivoluzione ha realizzato 334 scuole, 284 dispensari-maternità, 78 farmacie, 25 magazzini di alimentazione e 3000 alloggi.
Spazio era dato a tutte le categorie, i ceti e le classi sociali, con la creazione dell’UFB (Unione delle donne del Burkina), l’UNAB (Unione nazionale degli anziani del Burkina), l’UPB (Unione dei contadini del Burkina), nonché i CDR (Comitati di difesa della rivoluzione) locali, dell’amministrazione, delle guarnigioni, dei licei e delle università. L’SGN/CDR (Segretario generale nazionale dei CDR) era il coordinamento nazionale di tutti questi diversi comitati ed il PRP (Potere rivoluzionario provinciale) era l’organismo al livello provinciale del potere popolare.
Quanto alle critiche acerbe ai CDR, gli “sconfinamenti” di alcuni militanti non potevano essere un motivo per rimettere in gioco le vittorie riportate da queste strutture popolari nel vasto cantiere di sviluppo. In effetti, l’euforia delle prime ore della rivoluzione spiega in parte certi smarrimenti, errori, sviste ed esazioni, ma azioni di sabotaggio, complotti, minacce sono un’altra cosa. Per un quarto di secolo le masse sono state allontanate dal potere, sottoposte al disprezzo e al disdegno dei diversi poteri post-coloniali. È in reazione a tutto questo che la gente ha voluto gioire pienamente delle responsabilità che gli venivano affidate per la prima volta. C’è da dire anche che rimuovendo i privilegi acquisiti in modo disonesto dalla minoranza, questa non poteva certo applaudire la rivoluzione, anche se qualcuno oggi rimpiange apertamente o tacitamente l’epoca della rivoluzione, vista la politica adottata dal regime Compaoré in Burkina Faso e fuori dal paese.
Il CNR (Consiglio nazionale della rivoluzione) con il presidente Sankara conduceva una politica estera che si può riassumere con tre parole principali: Panafricanismo, Terzo-Mondismo, Internazionalismo.
L’unità era per la rivoluzione non solamente un’esigenza culturale ma soprattutto un bisogno economico e politico. Il forum di Bambata (8 ottobre 1987) era la prova della costante preoccupazione di sradicare l’apartheid, e del riconoscimento della RASD-Repubblica Araba Saharoui Democratica (Compaoré ha ritirato il sostegno del Burkina a quest’ultima). All’ONU il Burkina durante la rivoluzione ha votato per l’indipendenza della Nuova Caledonia, condannato l’aggressione dell’isola di Grenada da parte degli USA, e denunciato l’invasione dell’Afghanistan da parte dei Sovietici. Il Burkina ha sostenuto tutti i popoli in lotta e i movimenti di liberazione.
Chi sono diventati i rivoluzionari? Dal 15 ottobre 1987 (assassinio di T. Sankara e fine del processo rivoluzionario) quale evoluzione il paese ha conosciuto, quali priorità sono state tenute e quali sono le ripercussioni? Una cosa è certa, più nessuno è pronto ad accettare sacrifici, e ciò è dovuto ad una verità eterna, incontrovertibile: l’esempio viene sempre dall’alto.
Sul piano culturale: l’IPN (Istituto dei popoli neri) non è che l’ombra di se stesso, il FESPACO (Festival panafricano del cinema di Ouagadougou) è diventato uno strumento commerciale che ha poco a poco perso il suo contenuto culturale, il SIAO (Salone internazionale dell’artigianato di Ouagadougou) è adesso una fiera riservata alla “jet society” burkinabé ed estera.
Quanto alla politica estera il Burkina di Compaoré è implicato nei conflitti in Liberia, in Sierra Leone, in Costa d’Avorio, in Angola (diamanti e armi) e in quello dei Tuareg. Sotto il governo Balladur, il ministro Pasqua ha espulso degli islamisti dalla Francia verso il Burkina. Vuol dire che il numero due della rivoluzione, oggi capo dello Stato, non è nient’altro che il valletto locale dell’imperialismo, il guardiano degli interessi dei gruppi Bolloré, Bouygues e di altri politici francesi?
È per questo che nella stessa logica ci si domanda se i numerosi piani del FMI non vengano redatti per aggravare la povertà della gente, quando si sa che solo le popolazioni povere pagano ingiustamente gli sforzi di “politiche di sviluppo”, mentre Compaoré, come altri capi di Stato, ricevono attestati di lode dalle istituzioni di Bretton Woods (sì, è questa la loro logica!).
Si comprende perché Thomas Sankara sia stato assassinato ed è il primo presidente del Faso a esserlo stato.
Il regime di Compaoré non cessa di darci prove che Sankara impediva ad alcuni di appagare i propri ignobili interessi personali ed egoistici anche se apparentemente si mostravano “integri e rivoluzionari”. Senza alcun rischio di sbagliarsi si potrebbe dire inoltre che la credibilità di un’opposizione politica dipende dalla democrazia nella quale essa si esprime.
Come accettare di conservare nel lusso alcune migliaia di persone mentre milioni di altre dovrebbero rassegnarsi alla povertà? Per riprendere una vigorosa frase di Saint Just, non ci si può che opporre a questi “piaceri che si acquistano solo a danno della legalità”. Alcuni burkinabé cercano di ottenerne cinicamente dei favori: svendita del Burkina Faso attraverso ogni sorta di privatizzazione, con conseguente concussione e corruzione generalizzate, oltre a commercianti e funzionari marci.
Il collettivo delle organizzazioni democratiche di massa e di partiti politici, creato all’indomani dell’assassinio del giornalista Norbert Zongo e dei suoi compagni di sfortuna, il 13 dicembre 1998, è il risultato di più di 100 crimini di sangue, più di 100 crimini economici e più di 50 altri crimini (sequestri, torture, carriere interrotte…) registrati dall’assassinio di Thomas Sankara e dei suoi compagni il 15 ottobre 1987. È così che è nato il movimento “Troppo è troppo” che raggruppa la gioventù, le donne, i sindacati, i partiti d’opposizione e il MBDHP (Movimento burkinabé per i diritti umani e dei popoli), cioè il paese reale.
Il popolo burkinabé sulla base dei quattro anni di esperienza rivoluzionaria apprezza con capacità critica. Perché dopo la svalutazione del franco CFA si leggevano ogni tanto sulla stampa o si sentiva per strada “eppure Sankara ci aveva avvisato”. Effettivamente uno dei suoi grandi orientamenti era: “produciamo ciò che consumiamo e consumiamo ciò che produciamo”, ed era in questo spirito che si era affermata ed attuata la campagna del “FASO DAN FANI” (il tessuto di cotone burkinabé).
La più grande speranza si regge sull’impegno, sulla convinzione e sul pragmatismo delle diverse associazioni, movimenti e partiti che lottano tutti per la giustizia sociale, la libertà, la democrazia, e che sostengono Mariam Sankara e i suoi figli nel cammino della giustizia, per fare luce sull’assassinio di Thomas, considerando che il certificato di decesso dichiara che Thomas Sankara è “deceduto di morte naturale”.
La rivoluzione si scatenerà ogni volta che le divergenze si allargheranno tra i governanti e le masse.
“Spero semplicemente che la mia azione serva a convincere i più increduli che c’è una forza -che si chiama popolo- e che bisogna battersi per e con questo popolo…” T.S.
Paul Sankara
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